Lo scandalo dei militari italiani vittime dell’uranio e dimenticati dallo Stato

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56OREDi Valter Vecellio

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Ne capitano davvero tante in questo povero paese che si chiama Italia; e ogni volta non sai se indignarti, rassegnarti a quello che sembra l’ineluttabile, dare ragione a chi vorrebbe ripristinare la ghigliottina e Mastro Titta…Si prenda lo scandalo dei militari italiani vittime dell’uranio; c’è di che rimanere impietriti. Per il comportamento assunto dalle istituzioni, per il silenzio e l’omertà che avvolgono i fatti denunciati, per la gravità delle cose che vengono raccontare. Si comincia con la storia di Giovanni, carabiniere, ex scorta di magistrati antimafia, veterano di missioni all’estero in Kosovo e Nassiriya. Giovanni capisce che qualcosa non va per le continue, dolorose emicranie, i problemi alla vista, le gambe che non reggono più. “Ha solo bisogno di riposo”, sostengono i medici. Davvero delle ottime diagnosi! Giovanni ha un tumore al cervello. Diciotto mesi e quindici giorni di agonia, poi la morte. Seconda storia: Gaetano, vice brigadiere, anche lui reduce da missioni in Bosnia; gli asportano mezzo intestino, quattro interventi in cinque anni; ora Gaetano è immobilizzato in un letto d’ospedale. C’è poi Paolo, vent’anni quando parte per la prima missione all’estero, aveva appena compiuto vent’anni. Oggi di anni ne ha 35, quindici anni di lotta contro un tumore che gli porta via un testicolo. Sembra siano circa 3.700, i militari che negli ultimi dieci anni si sono ammalati di tumore dopo aver preso parte a missioni all’estero. Dal 1999 a oggi 314 quelli già deceduti. Tutti presentano o presentavano una patologia provocata da esposizioni all’uranio impoverito o al radon, un gas radioattivo completamente inodore che deriva sempre dallo stesso metallo: “Un esercito silenzioso, che ora chiede a gran voce di essere ascoltato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti”. Una lista di morti e malati sottoposti a cure estenuanti che ogni giorno si allunga, le segnalazioni dettagliate giungono da tutta Italia. “Eppure”, denunciano avvocati e associazioni, “il ministero della Difesa, che nel 2010 ha persino istituito un gruppo progetto uranio impoverito proprio per studiare il fenomeno e ha messo a disposizione un fondo di 30 milioni di euro (finanziato con 10 milioni di euro all’anno) per risarcire eventuali vittime, continua a non rispondere alle loro lettere, telefonate e richieste d’aiuto”. Di molti di questi casi si sta occupando la Procura di Rimini: un pool di magistrati ha messo insieme in poco più di un anno un totale di 27 casi, fra esposti e denunce.

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   OREL’Italia è uno dei pochissimi Paesi europei ancora scettico di fronte a un collegamento fra l’esposizione al materiale con cui sono costruite le teste di guerra delle munizioni usate dalla prima Guerra del Golfo ad oggi e l’insorgenza delle forme tumorali. Eppure, “i rischi delle esposizioni da uranio impoverito, alle autorità italiane, dovevano essere ben noti da tempo: in particolare dal 1999, da quanto l’U.S. Army divulgò un’informativa rivolta ai vertici militari di tutti i Paesi presenti in missioni nella ex Yugoslavia sulla pericolosità delle neoparticelle di uranio impoverito”. Il documento illustra come difendersi dai rischi dovuti al contatto con l’uranio, per esempio lavandosi le mani e coprendo la pelle esposta. Inoltre, per quanto riguarda le missioni in Kosovo, una cartina segnalava le zone bombardate da armi di uranio impoverito. Una polvere terribile, l’uranio, in grado di infilarsi nelle divise dei militari e di provocare negli anni malattie irreversibili. Secondo le istruzioni americane neppure un lembo di pelle doveva rimanere esposto a quel metallo, i soldati dovevano indossare tute completamente impermeabili. Pare che i nostri militari fossero invece vestiti poco più che in braghe di tela: “Si sedevano nelle camionette dove sui sedili era rimasta la polvere di uranio, che si infilava nelle mutande e nei pantaloni. E questo spiega l’anomala insorgenza di tumori non solo alle vie respiratorie, ma anche ai testicoli e rettali”. Il capitano Enrico Laccetti, alto ufficiale della Croce Rossa, per quasi dieci anni ha prestato servizio nei Balcani; al ritorno dalla missione di pace si è ritrovato un linfoma ai polmoni lungo 24 centimetri provocato – recita il referto della biopsia – “da nanoparticelle di metallo pesante”. Racconta: “Noi italiani operavamo a mani nude, con il volto scoperto, senza maschere, in territori altamente inquinati da proiettili di uranio impoverito, ancora conficcati al suolo, e poi vedevamo i soldati statunitensi tutti bardati, con divise ultratecnologiche che sembravano sbarcati da un film di fantascienza, ma quando abbiamo chiesto ai nostri superiori perché fossero così protetti – e noi invece no – loro ci rispondevano: sono americani, sono esagerati. Non preoccupatevi: è tutto a posto”. Tutto a posto… Gli effetti dell’uranio possono impiegare anche quindici anni prima di manifestarsi. E infatti c’è un boom di segnalazioni ai centralini della Procura di Rimini, dove il pubblico ministero Davide Ercolani coordina un’inchiesta che per ora riguarda 27 militari. Il fascicolo d’indagine con l’accusa di omicidio colposo e omessa esecuzione di un incarico, finora è contro ignoti; ma si potrebbe arrivare a dare un nome e un cognome ai vertici militari responsabili delle missioni di pace all’estero che avrebbero potuto sapere i rischi ai quali andavano incontro i militari, mandati allo sbaraglio in territori fortemente inquinati dall’uranio impoverito. Chi erano e quanti erano, insomma, i comandanti consapevoli del rischio che stavano correndo i loro militari e che nonostante questo li hanno lasciati servire lo Stato in quelle condizioni? Un  interrogativo che finora non ha avuto risposta.

   Sono almeno 25 le sentenze di condanna in tutta Italia nei confronti del Ministero della Difesa. I giudici riconoscono il nesso di causalità fra la malattia sviluppata dai militari e la loro esposizione in missione all’uranio impoverito. Quasi tutte queste cause, in tutta Italia, sono state portate avanti dallo studio legale dell’avvocato romano Angelo Fiore Tartaglia, in collaborazione con l’Osservatorio Militare presieduto dal maresciallo in pensione Domenico Leggiero. Finora nessun militare ha riscosso un solo euro da parte del ministero della Difesa. Ma se queste condanne dovessero passare in giudicato, lo Stato potrebbe essere obbligato a versare una valanga di risarcimenti, come dimostra la sentenza della Corte dei Conti dell’Aquila, che due anni fa ha condannato il ministero della Difesa e quello dell’Economia a versare una pensione militare privilegiata al caporal maggiore Rinaldo Porretti, reduce da missioni in Bosnia e Albania, colpito da un carcinoma neuroendocrino metastatizzato. “La permanenza in missione di pace”, scrive il giudice nella sentenza, “si è protratta senza alcun mezzo di protezione dalle esalazioni e residui tossici quali derivanti dalla combustione e ossidazione di metalli pesanti a seguito dell’esplosione di ordigni bellici e delle fabbriche di sostanze chimiche, anch’esse bombardate…Questo giudice non può non riconoscere l’alta probabilità che le neoparticelle a sua volta generate da proiettili composti di uranio depleto, abbiano costituito un elemento determinante per la patologia stessa, che si è manifestata a diversi anni di distanza dal ritorno in patria”. Un risarcimento danni da 400mila euro è stato riconosciuto in primo grado dal Tribunale civile di Roma alla famiglia del caporal maggiore dell’Esercito Amedeo D’Inverno, 30 anni, deceduto il 10 febbraio 2007 dopo il rientro da missioni in Bosnia per una forma fulminante di leucemia promielocita acuta. Condannando ancora una volta il ministero della Difesa, i giudici oltre a rilevare che dalle biopsie “sono emersi elementi chimici metallici non presenti nel corpo umano” attribuiscono una chiara responsabilità ai vertici della Difesa: “Appare logico pensare che il ministero della Difesa dell’epoca fosse a conoscenza dell’esistenza dell’uranio impoverito in Bosnia o come minimo del serio rischio di un suo utilizzo in quell’area”.

Questa la situazione, questi i fatti.

Nelle foto, alcune immagini del film di Claudio Fragasso “Le ultime 56 ore” che alcuni anni addietro affrontò il problema dei soldati italiani vittime dell’uranio.

 

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